Le mummie nella chiesa dei morti
Il nostro vagabondare ci conduce la dove la morte si fa commediante, ridestando emozioni e storie lontane, di un macabro spettacolo; essa trova il suo palcoscenico nella chiesa dei morti ad Urbania (PU), dove ridona la voce ai diciotto corpi (12 uomini e 6 donne), dalle cui ossa riecheggiano i drammi delle loro tragiche vicende.
«Rèquiem aetèrnam, dona eis, Domine, et lux perpètua lùceat eis. Requiéscant in pace. Amen.»
Correva l’anno 1567 quando la confraternita della Buona Morte, sotto il patronato di San Giovanni Decollato, varcava, per la prima volta, il caratteristico portale gotico della chiesa dei morti, già Cappella Cola fondata nel 1380 (originariamente fu un oratorio, fondato da Nicola Di Francesco e Antonia Di Filippuccio); essa era composta da 120 persone tra laici e religiosi. La confraternita istituì e promulgò il suo statuto, assieme al cardinale Giulio Feltrio della Rovere, composto da 31 capitoli che ne consolidavano il pio sodalizio; il loro scopo era l’uguaglianza tra le persone di fronte a Dio e alla morte. La confraternita si adoperava per il trasporto gratuito dei defunti, l’assistenza ai poveri, emarginati, moribondi e ai giustiziati; i morti venivano registrati in appositi libri e ai parenti veniva, così, garantita l’assistenza e la distribuzione dell’elemosine. La sepoltura dei defunti avveniva in un terreno adiacente alla chiesa, adibito a cimitero; durante la cerimonia i confratelli erano soliti indossare una veste bianca con cappuccio nero sul capo (come si può notare, ancora oggi nella chiesa dei morti, nel personaggio posto al centro, il priore Vincenzo Piccini, ideatore della necropoli).
Quando, il 12 giugno 1804, fu emanato, da Napoleone, l’Editto di Saint Cloud che istituiva i cimiteri extraurbani per ragioni: igenico-sanitarie e ideologico-politica per i defunti illustri. Nel 1806 l’Editto di Saint Cloud arrivo anche al Regno d’Italia; la confraternita della Buona Morte inizio le operazioni di riesumazione dei corpi, nel cimitero della chiesa dei morti. Quando i defunti furono riportati alla luce, i confratelli fecero una scioccante scoperta, i loro corpi si presentarono sorprendentemente intatti, grazie ad una particolare muffa parassita, idrovora e antibiotica (Hipha Bombicina Pers) che ne aveva fatto una mummificazione naturale. In un ambiente ricco di solfati di calcio, questa particolare muffa vegetava nelle tombe ed in circa un anno riusciva ad essiccare completamente le salme con cui veniva a contatto e rendendola pelle pergamenacea; questa spiegazione arrivò solo tra gli anni’60 e ’70 da un team di antropologi e biologi. In pratica i defunti, oltre alla struttura scheletrica, conservano la pelle, gli organi, i capelli, i organi genitali e brandelli di abiti.
Dal 1833 i corpi mummificati, sistemati dalla confraternita della Buona Morte per volere dello stesso priore, sono stati collegati nella cripta dietro l’altare maggiore della cappella, in mostra ai visitatori che ne possono udire riecheggiare le storie e vederne i segni, dei loro ultimi istanti di vita o della morte, incisi sulle ossa, per le loro tragiche vicende. I 18 personaggi raccontano, a chi sa ascoltare, le loro sorprendenti e drammatiche storie. Le loro vicende sono arrivate fino ai giorni nostri, grazie a lettere, documenti d’archivio e tradizione orale. Al centro del gruppo spicca il priore della confraternita della Buona Morte, Vincenzo Piccini con il suo mantello nero e l’emblema della morte, al centro della sagrestia nella chiesa dei morti. Vincenzo Piccini, il priore, giace tra quei corpi mummificati che tanto lo affascinarono e lo ossessionarono (per la sua convinzione che fossero stati trattati con delle misteriose sostanze dai suoi predecessori) in vita. Nella teca vicina troviamo la moglie, Maddalena Gatti, e il figlio, morto di tumore; essi furono mummificati successivamente con delle sostanze create dallo stesso Vincenzo Piccini (priore e farmacista, come il figlio, che cercò di riprodurre il mistero della conservazione dei 15 corpi, ma risultò funzionare solo parzialmente). Solo a tre dei quindici corpi, morti tra l’inizio del 1600 e la fine del 1700, è stato possibile dare un nome. Tra le mummie possiamo trovare: il fornaio del paese “Lombardelli” detto Lunano (sec. XVIII), Pierantonio Macci (1847), Mariano Muscinelli, la donna morta di parto cesareo (con ancora il ventre squarciato per salvare ed estrarre il nascituro), il giovane accoltellato ad una veglia danzante (con lo squarcio della lama ancora visibile), un morto per diabete e l’impiccato. Fra tutte spicca la storia di colui che, con il suo ghigno sardonico, porta sul volto il terrore, la pazzia e la disperazione (la leggenda vuole che le emozioni e la visione della sua morte assalga, come fossero proprie, chiunque si fermi a fissarlo, intensamente a tu per tu, nelle cavità oculari) di chi fu sepolto vivo, in stato di morte apparente, e si risvegliò nel buio gelido di una tomba. Ancora oggi si possono rivivere, come allora, i suoi ultimi momenti di vita; i segni incisi sul suo corpo ci raccontano i fatti e le sue emozioni come delle immagini che ci scorrono davanti agli occhi e ci rendono spettatori della sua terribile fine.
«Essere sepolti vivi è senza dubbio, il più terribile tra gli orrori estremi che siano mai toccati in sorte ai semplici mortali. Che sia avvenuto spesso, spessissimo, nessun essere pensante vorrà negarlo. I limiti che dividono la Vita dalla Morte sono, nella migliore delle ipotesi, vaghi e confusi. Chi può dire dove finisca l’una e cominci l’altra?» (Edgar Allan Poe)
Nel museo si può, inoltre, ammirare il caratteristico lampadario, fatto di teschi e di ossa, che fa da cornice alla sala della sagrestia. Le mummie sono spesso oggetto, oltre alle visite di migliaia di turisti, di servizi giornalistici e televisivi, nazionali e non; nel 2002 è stata realizzata, dall’equipe del “National Geographic”, una puntata sulle mummie di Urbania per la serie “The mummy road show”.
Museo delle mummie – Urbania
Tel. 3498195469
Giuseppe Ducci e Giovanni Maestrini (custode e guida)
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